Covid19: cosa dicono i dati?

Come sempre, quando si tratta di dover sostenere una tesi, si tira fuori la famosa frase “guardiamo i dati” o la variante debole “i dati non mentono”.

Premesso che i dati altro non sono che una misura quantitativa di un fenomeno e che manipolandoli adeguatamente possono confermare qualsiasi tesi (la numerologia insegna), ho deciso anche io di andare a guardare i dati.

Prima però parliamo di un nuovo fenomeno all’orizzonte: il negazionista deluso.

Sebbene le ultime settimane abbiano comportato una drastica riduzione dei proclami di noti e accreditati scienziati che si sono divertiti a fare l’occhiolino ai negazionisti nel post lockdown, ci troviamo di fronte ad un nuovo e pericoloso fenomeno: l’uso malevolo dei dati da parte del negazionista deluso. Purtroppo (o per fortuna), questo fenomeno ha preso piede proprio nel momento in cui sono venuti a mancare i post dei noti luminali accreditati.

Questi ultimi, una volta capito che l’andamento dei dati non avrebbe più permesso di sostenere tesi ambigue (mica sono fessi, loro la formazione per leggere i dati la tengono!), hanno immediatamente smesso di alimentare i loro profili con notizie ambigue (attenzione: NON HO SCRITTO NOTIZIE FALSE BENSÌ NOTIZIE AMBIGUE) e i negazionisti si sono ritrovati a dover improvvisare e a dover camminare con i propri piedi… Con risultati ovviamente disastrosi.

Ognuno di noi avrà sicuramente osservato almeno un messaggio appartenente ad una delle categorie seguenti:

  • Eh, la mortalità è bassa;
  • A marzo 2020 era peggio;
  • Abbiamo gli stessi numeri del lockdown con meno tamponi;
  • 16000 positivi 15500 asintomatici;
  • Non muore più nessuno;
  • Muoiono solo i malati.

Se avete un po di tempo, osservate come siano aumentati (alcuni sono stati scritti da poco) proprio in concomitanza con l’aumento dei casi.

Diamo alle cose il nome giusto

Torno serio.

Senza voler appesantire troppo la discussione, credo sia doveroso distinguere due entità diverse: abbiamo i dati, che ci danno il valore quantitativo di una o più variabili (magari associando tale valore a un istante di tempo); abbiamo poi le informazioni che ci permettono di capire il fenomeno manipolando e valutando il valore dei dati.

I dati sono solo la base. Dai dati quali è necessario estrarre informazione. È l’informazione che ci aiuta a capire un fenomeno e non i dati grezzi.

Se ad esempio misuriamo la temperatura quotidianamente otterremo un insieme di numeri che variano. Essendo caldo e freddo soggettivi non possiamo dire “oggi fa caldo” oppure “al giorno X faceva caldo” in modo universalmente oggettivo. Non stiamo estraendo informazione dai dati. O meglio, li stiamo osservando, ne stiamo estraendo informazione valida per noi e stiamo pure aggiungendo un poco di bias.

Se invece osserviamo la relazione d’ordine tra i numeri, possiamo affermare che un giorno è stato più o meno freddo di un altro. Stiamo estraendo informazione dai dati e stiamo osservando che in due giorni distinti la temperatura è diversa.

Come si “leggono” i dati?

Dovremmo essere d’accordo sul fatto che “leggere i dati” sia equivalente a “estrarre informazione oggettiva dai dati”.

Per estrarre informazione però dobbiamo in qualche modo manipolarli. Se torniamo all’esempio della temperatura, ci accorgiamo che dobbiamo inserire almeno un simbolo tra i numeri (<, >, =) per poter estrarre l’informazione.

I dati vanno manipolati garantendone sempre l’integrità e sopratutto utilizzando manipolazioni che non distruggano relazioni tra gli stessi o che inseriscano artefatti. Le operazioni di aggregazione (media), di combinazione e le operazioni statistiche essendo state soggette a secoli di revisione paritaria possiamo considerarle ammesse.

Cosa ci dicono i dati degli ultimi giorni?

Purtroppo, al momento viaggiamo con una media di +50 terapie intensive (media mobile sui 3 giorni) e con circa 400 nuovi ricoveri al giorno.

Nuove TI e nuovi ricoveri giornalieri.

Se non invertito (personalmente- parere soggettivo- dubito sia possibile farlo), questo trend potrebbe portare ad un aumento considerevole della pressione sull’intero sistema sanitario.

Con questo ritmo, in circa 40 giorni potremmo ritrovarci ad avere 2000 TI occupate. Il tutto se riusciremo a mantenere stabili i nuovi ricoveri (ecco perché vi implorando di mettere la mascherina e di distanziarvi!).

Dovrebbe essere facile, anche per il negazionista più incallito, fare due semplici proporzioni. Se con 15.000 nuovi infetti al giorno abbiamo in media 400 ricoveri e 50 TI, e dato che il tempo di guarigione è superiore al tempo di incubazione/malattia, allora con 30.000 infetti quotidiani nella peggiore delle ipotesi quei numeri potrebbero raddoppiare.

Avere 100 nuovi accessi alla TI al giorno potrebbe significare saturare tutte le TI sul suolo Italiano in 3 mesi (vi ricorda qualcosa il di questo passo non arriviamo a Natale?).

Il tutto, volendo considerare veritiero il dato di circa 10.000 TI totali (tra già attive, nuove arrivate durante il lockdown e previste dal decreto rilancio) nel paese.

Purtroppo l’informazione estraibile in questo momento dai dati è questa. È inutile girarci intorno o tirare in ballo la mortalità dell’1% o la percentuale del 5% di sintomatici. Possiamo fare tutti i salti mortali che vogliamo ma il 5% di 60 milioni resterà sempre 3 milioni e l’1% di 60 milioni resterà sempre 600.000.

A volte sembra che troppi dimentichino che non esistono solo malati di Covid19 e che anche gli altri dovrebbero avere la stessa possibilità di accedere alle cure di cui necessitano. Altri invece dimenticano che una volta saturi i posti si resta fuori.

Cosa possiamo fare?

Non avendo ancora un vaccino, possiamo essere responsabili usando i dispositivi di protezione, limitando a quanto basta la vita sociale e il numero e la durata dei contatti con le altre persone.

I virus camminano (non tutti eh) con i nostri piedi.

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